I SOCIAL SONO IL “MALE” DELLA GENERAZIONE Z E NON SOLO

La paura del futuro e la sensazione di non essere mai all'altezza, sono due dei sentimenti che accompagnano quotidianamente le nuove generazioni, in particolare la Generazione Z. Con sempre più frequenza le competenze acquisite dai giovani, a scuola ed all'università, sembrano non bastare in una società come la nostra alla continua ricerca della perfezione.

Non è possibile sbagliare, non è possibile fermarsi o concedersi delle pause dallo studio o dal lavoro e, peggio ancora, non ci si deve lamentare quando qualche obiettivo richiede fin troppo tempo per essere raggiunto.

Tutti questi fattori hanno però una conseguenza importante sulla salute fisica e mentale dei nostri giovani, hanno sempre più paura del futuro, paura di realizzarsi e di trovare il loro posto nel mondo. Se alle difficoltà della vita reale poi ci aggiungiamo anche quelle della vita virtuale, notiamo come l'ansia e lo stress aumentano in maniera considerevole.

I social media, ad oggi, rappresentano per le nuove generazioni una realtà più che un mondo fittizio. Si passa molto più tempo in compagnia degli influencer, degli amici virtuali e dei vip che delle persone reali. Nell'esatto momento in cui si guarda ad un mondo finto, patinato e non sempre vero, si cerca in tutti modi di poter replicare nella vita reale tutte le caratteristiche che apprendiamo inconsciamente dal mondo virtuale.

Ma il risultato spesso può essere controproducente e dannoso, oltre che deludente, non appena l'utente si rende conto di non poter far parte di questo sistema artificioso, perde fiducia, coraggio e sicurezza in sè stesso. Tale sconforto nasce soprattutto dalla convinzione che la vita degli altri sia più «fortunata» della nostra, ciò porta i giovani a soffrire e sentirsi lontani dalla realizzazione personale e professionale. Questo è ciò che quotidianamente accade ai nostri giovani e riprendere in mano il contatto con la realtà che li circonda sembra essere molto più complesso di quello che si immagina.

I giovani e i social: intervista alla psicologa Irene Sanguineti

Per capire meglio come i giovani vivono il confronto con la società, con il mondo dei social e quali ansie scaturiscono dal confronto con esso abbiamo scelto di parlare con la dottoressa in psicologia Irene Sanguineti. La scelta non è certo casuale. Irene Sanguineti ha 26 anni e da un pò di tempo ha iniziato a parlare di salute mentale proprio tramite il social Instagram, dove ha un seguito molto corposo, affrontando tematiche come la gestione dell'ansia, dello stress e molto altro.

Ha recentemente pubblicato un libro dal titolo «M'ama non m'amo» ma, aspetto ancora più importante, data la sua giovane età è parte della Generazione Z. Come la dottoressa Sanguineti spiega «Possiamo dire che la società di oggi è diventata sempre più complessa e noi siamo essere semplici. La società è cambiata molto ed i giovani si sentono in dovere di realizzarsi, ma non perché lo vogliono veramente. I social hanno sicuramente influito in quanto hanno portato ad un'idea di perfezione irrealistica ed utopistica.

È aumentato esponenzialmente anche un altro problema, ovvero il senso di solitudine. I social ci danno l'impressione di essere sempre in compagnia ed in contatto con le altre persone anche nelle nostre zone confortevoli. Se siamo in camera da soli, apriamo il social e possiamo vedere cosa fanno gli altri, cosa fanno i nostri amici e, automaticamente, ci sentiamo meno soli. Ciò ha portato ad un altro problema, la “fomo” tradotto “fearing of missing out”, ovvero la paura di perdersi qualcosa».

I giovani e il lavoro

Dunque, se il continuo e malsano bombardamento a cui le nuove generazioni sono costantemente sottoposte produce effetti controproducenti nella vita quotidiana e nei rapporti umani, la situazione non migliora quando pensiamo alle pressioni sociali nel mondo del lavoro. La Generazione Z, secondo quanto riportato dalla ricerca People at work 2021: A Global Workforce View, è stata la più colpita dalla disoccupazione. Certamente tali dati sono da inserire all'interno di un contesto più ampio determinato dall'arrivo della Pandemia da Covid-19, la quale ha reso ancora più evidenti le difficoltà dei giovani di inserirsi all'interno del mercato del lavoro. 

Ed ecco che prende vita una nuova forma di ansia, ovvero l'ansia da prestazione la quale si traduce soprattutto all'interno del contesto universitario. La difficoltà di concludere gli studi, di sostenere gli esami universitari e di affacciarsi al mondo del lavoro caratterizza la vita di una percentuale molto alta di giovani. Inoltre, è doveroso dire che spesso sono proprio glli adulti a non credere nelle nuove generazioni, le quali vengono spesso bollate con l'appellativo di «sfiancati», incapaci di realizzarsi. 

Gli adulti si aspetto dai ragazzi prestazioni eccellenti, rendimenti incredibili, ma la realtà è ben diversa. Le nuove generazioni devono studiare tanto ma senza poi riuscire ad ottenere un riscontro concreto nel mondo del lavoro, ciò crea un circolo vizioso di frutrazione e abbassamento dell'autostima soprattutto se, a fine giornata, il paragone più importante con la propria vita rimane quello patinato dei social media.

«Il continuo confronto via social scatena ansia, paura di fallire, paura del futuro che quotidianamente può far stare parecchio male. Rivolgersi ad una figura professionale è molto importante, fa in modo che ci si voglia più bene. Il consiglio generale che mi sento di dare è che in quelle situazioni di confronto è importante elaborare un giudizio interno in modo da poter abbattere il filtro non solo di Instagram ma, soprattutto, della vita reale» conclude la dottoressa Irene Sanguineti.

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